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18.12.09

CONSIGLI PER GLI ACQUISTI

Difficile consigliare un libro da regalare, perchè dipende a chi è rivolto.
Suggerirei comunque di evitare le ultimissime novità, a parte qualcuna, la maggior parte non vale l'acquisto. Tant'è che di seguito troverete qualche spunto.

Una bella ide potrebbe essere (a soli €10,00) una copia di "17 spritz, prego!", il primo lavoro dello Spritz Letterario, di cui hanno detto:

17 racconti, 17 piacevoli sorsi di leggerezza e freschezza, 17 potenziali cortometraggi ed una sonora sberla alla scaramanzia!

La netta sensazione è che si parli e si descriva con efficacia, sobrietà ed eleganza la vita ordinaria, quella che tutti i giorni abbiamo davanti agli occhi, la tanto detestata ed odiosa routine.

Tutti gli autori di questa raccolta hanno un loro stile originale ma un filo comune li lega e dà omogeneità ai testi, ossia la la capacità di far emergere dall'insignificanza le cose feriali, i fatti ed i dettagli comuni, che ci appartengono.

Questi racconti toccano, fanno sorridere e commuovere, grazie ad una narrazione fresca ed agile che dà sapore ai piccoli mondi feriali. C'è spazio per una vasta gamma di sentimenti e non mancano le occasioni per riflettere e fermarsi un attimo.

Per i lettori, oltre al divertimento di una piacevole letteratura, anche una bella occasione per fare terapia e conoscersi un po' di più.

La copia può essere spedita in contrassegno, se non dovesse esserci nelle librerie di Vicenza ed Arzignano. Idea valida per tutto l'anno, non solo a Natale!

MISTICANZE
Gian Luigi Beccaria - Ed. Garzanti
Perchè si chiamano "agnolotti", "gnocchi", "grissino"? Quali sono i nomi dei vini e dei vitigni in Italia? In 7 capitoli istruttivi, sorprendenti e divertenti, questo libro racconta le fantasie e le invenzioni della cucina, dalle corti rinascimentali alle provocazioni scenografiche delle avanguardie e della nouvelle cuisine. L'autore è un maestro nel creare curiosità intorno alle parole, quelle che usiamo nalla vita quotidiana e quelle desuete.

IL FILOSOFO TASCABILE
Armando Massarenti - Ed. Guanda
Dai presocratici a Wittgenstein, 44 ritratti per una storia del pensiero in miniatura.

30.11.09

I CONSIGLI DI PAOLA C


GLI ULTIMI OCCHI DI MIA MADRE
Patrizia Patella
Sironi Editore – pagg. 149

Questo romanzo d’esordio ha veramente una forza travolgente fin dalle prime righe, è come se l’autrice si lasciasse trafiggere dalle parole, mettendo a disposizione la propria carne viva per narrare il suo rapporto con la madre, guardandolo retrospettivamente dopo che la madre è morta. Ricorda l’infanzia e la vita con lei da adulta, non esita a mostrarci le mancanze di questa madre che l’ha trascurata per dedicarsi al lavoro, descrive il suo aspetto sciatto quando è in casa, l’incapacità di godersi la vita, la scarsa propensione a comunicare con questa figlia che si ritrova persino anoressica ad un certo punto della propria adolescenza.

Mai, in nessun momento, assistiamo alla classica beatificazione del morto. Semmai il contrario, a volte l’autrice sembra perfino troppo dura verso la madre. Ma il lutto è così dolente, la nostalgia così palpitante che si rimane attoniti. Le parole non dette sono quelle di tutti noi, quelle che ciascuno sente affiorare nella mente quando perde una persona così fondamentale. Perché l’odio, se così si può definire, non è altro che amore camuffato, l’amore dei perdenti. E una madre con cui non hai avuto un rapporto pieno è come se la perdessi due volte, quando muore.

Eppure qui niente è perduto, perché la scrittura- questa scrittura che mi ricorda Paula di Isabel Allende e anche La lettera al padre di Kafka- riscatta la vita e consegna questo amore a una memoria perenne.

17.11.09

Incipit - LE CARTE DELLO SPRITZ - A. Rasile

«Modesto, sa che le sue mani sono più calde di una stufa?»
Mago Alvarez tirò verso di sé le mani del suo cliente, le circondò con attenzione, le percorse con le sue piccole dita, allontanò e avvicinò più volte il palmo della sua mano per valutare la presenza di qualche influsso magico proveniente da quegli arti. Poi, annuì.
«Sì. Sì. Emanano proprio calore. Ha mai pensato di fare il pranoterapeuta?»
Modesto osservò i calli sulle sue mani.
«Pranoterapeuta! Ragazzo mio. Ci dovrebbe pensare, lei potrebbe far soldi con la sola imposizione delle mani sul corpo di una persona», concluse l’indovino facendo finalmente accomodare l’uomo in compagnia della donna nel suo studio.

Modesto e Roberta erano fidanzati e quel pomeriggio nell’ufficio di Mago Alvarez c’erano andati per farsi leggere le carte.
In realtà, quella dei due che credeva alla predizione dei tarocchi era la ragazza. Modesto, invece, era piuttosto scettico nei confronti di quelle “stupide credenze”, ma quel pomeriggio era stato proprio lui ad per sapere cosa avrebbero detto le carte.

L’interesse per i tarocchi era roba vecchia per Roberta. Per un periodo della sua vita, si era pure dedicata al loro studio finché le era stata rubata la borsa con i suoi Arcani preferiti.
Perdere i tarocchi può avere conseguenze nefaste, per chi ci crede!
Così, cercando qualche rituale per riappacificarsi con i propri Arcani era finita in una Fiera della Cartomanzia e dell’Esoterismo incappando in Modesto che, dal canto suo, cercava, invece, solo una donna con cui passare la sera.
Quell’incontro portò ad entrambi un certo sollievo. A lei, per aver trovato la ragione del furto dei suoi tarocchi. A lui, per aver incontrato, finalmente, due gambe da urlo sotto una minigonna!
Fu quando la ragazza gli disse: «Ma come, vuoi fare l'amore con me quando non abbiamo ancora consultato le carte?» che Modesto capì in che vicolo cieco era andato a ficcarsi.
Lui era così, se c’era un problema ci si piantava dentro come un chiodo su una trave di legno. Ma nonostante ciò, quel pomeriggio, in quella assurda fiera, due punti erano chiari per Modesto.
Primo.
A lui, Roberta piaceva.
Secondo.
Sapeva di avere un gran senso pratico ereditato dal ramo maschile della sua famiglia insieme ad un paio di orecchie a sventola.
Così, il problema di far l’amore con quella donna, lo risolse brillantemente portandola da Mago Alvarez.

Josè Maria Alvarez Gran Maestro di Alta Magia, conoscitore di antichi e potenti rituali magici brasiliani ed egiziani, sensitivo e cartomante, non si limitava a leggere i tarocchi come chiunque altro indovino. Come era scritto sui volantini che lo reclamizzavano alla Fiera:
Il chiaroveggente può solo vedere, il telepatico può percepire solo le onde mentali, il medium può mettersi in contatto con entità disincarnate, il rabdomante può solo trovare l'acqua, Mago Alvarez ti accompagnerà nel tuo futuro con tutti i sensi.

Ed era vero! Quel pomeriggio, Modesto e Roberta scoprirono, che tra le mani di quello sconosciuto indovino, gli Arcani Maggiori si potevano trasformare in oracoli in carne e ossa per guidarli tra i meandri dell’imperscrutabile, srotolando il loro futuro come un gomitolo di lana.
Inoltre, Mago Alvarez, oliato opportunamente, era capace di far dire alle carte qualunque cosa uno desiderasse. Cosa che fu molto apprezzata da Modesto!
La lettura dei tarocchi andò alla grande. Roberta ne fu entusiasta e appena fuori dalla fiera fecero all’amore. In uno scantinato. In piedi contro un muro, senza togliersi i vestiti di dosso. Riuscì così bene che Modesto si disse che in fondo quelle carte avevano proprio ragione, anche se truccate. E che, Mago Alvarez era meglio di Mago Merlino!
Questo era successo sei mesi prima ...

12.11.09

Donne che scrivono donne che leggono


di Nadia Fusini

Ho degli amici - uno scrittore, l'altra poeta - che scrivono, ma non leggono i libri. Quelli degli altri, intendo. Dicono che a loro non interessa. Forse lo fanno per via di quella che Bloom chiama l'ansia dell'influenza. O forse, evitano così certi confronti. Sono tutte buone ragioni. Io però amo gli scrittori che leggono. Non immagino neanche che si possa vivere, né scrivere senza leggere. Che è la stessa idea che muove a leggere e a scrivere Elisabetta Rasy, la quale ha raccolto in volume le sue letture. Letture che pratica da anni, essendo oltre che scrittrice, una avida lettrice. Lo ha fatto e lo fa anche per mestiere dalle pagine culturali di diversi giornali. Ma lo fa soprattutto come una pratica di meditazione: coltiva così non solo l'anima, la mente, il gusto, la coscienza. Anche lo stile.

Sotto il titolo di "Memorie di una lettrice notturna", raccoglie alcuni suoi incontri con i libri che ha letto, osservando un solo criterio: che siano donne ad averli scritti. Include un breve cammeo di un¿artista non della penna, ma del pennello, Frida Kahlo. E un solo uomo, Ovidio. Si doveva tale riguardo a chi ha scritto le Eroidi, «un perfetto esempio di scrittura femminile», secondo Rasy. Dal che si deduce che la differenza sessuale non è qui giocata nel senso né biologico né ideologico. Ma si è disposti all'ascolto della medesima se e quando si manifesti nella parola.


Memorie di una lettrice notturna
Rizzoli
€18,50

9.11.09

PHILIP ROTH "Il professore di desiderio"

I CONSIGLI DI PAOLA C
Consiglio questo libro perché si legge senza soste, sbirciando con rammarico le pagine che mancano, quando sta per finire. David Kepesh, il protagonista, studente di college e poi professore, ci conduce nalla dimensione delle proprie esplorazioni sassual-sentimentali, da un menage a trois a Londra alla solitudine di New York, indagando l'insanabile contraddizione tra desiderio di trasgressione, di sfrenatezza e l'ansia di trovare un rapporto stabile e pacificante. Contraddizione insanabile fino in fondo, poiché poco dopo aver incontrato quella che sembra la compagna ideale per una pianificazione della vita, si manifestano i primi segni di uno scricchiolo che rimette in campo inquietudini e dubbi. La scrittura coinvolgente ed emozionante di Roth, ci regala momenti di grande ironia in una sorta di confessione carica di verità, nelle quali è assai facile riconoscrsi.

PHILIP ROTH
Il professore di desiderio
Einaudi
pp.234
€19,50

4.11.09

PER LEGGERE CI VUOLE VOCE

Infatti quando parliamo di libri e lettura spesso dimentichiamo che c'è chi non può accedervi, per problemi di vista, dislessia, anzianità o perché non è ancora in grado di leggere.
La lettura è un piacere e un modo di crescere ed evolvere, di conoscere nuove storie che ci aiutano a vivere o condividere emozioni.
Esiste qualcuno che ha pensato di offrire la propria voce per leggere a chi non può, il progetto si chiama: BANCA DELLA VOCE.
E' nato nel 2006 a Montegalda (VI), dopo un corso di lettura animata. I partecipanti sono tutti volontari e chiunque può farne parte, basta buona volontà.
Le letture si svolgono ovunque richieste.
Per contribuire con la propria voce basta contattare:
*Biblioteca di Montegalda - tel. 0444.736411 - biblioteca@comune.montegalda.vi.it
*Giminio Miozzi - giminio.miozzi@gmail.com
*Chiara Jommetti - capradoro@libero.it
E' davvero un progetto encomiabile, se avete qualche ora libera, passatela a leggere... per qualcuno!

3.11.09

LE CORREZIONI di J. Franzen

Autore americano, ancora abbastanza giovane (quarantadue anni), con due romanzi alle spalle, una collaborazione fissa con periodici come The New Yorker e Harper's e una fama che lo precede in Europa come un'ondata. Ce n'è abbastanza per iniziare la lettura di questo notevole romanzo (anche per dimensioni) con una certa, quasi inevitabile, prevenzione. Il solito autore americano "alla Carver" che pensa di riprodurre un film di Robert Altman o un romanzo di DeLillo (che non a caso firma in quarta di copertina un'entusiastica recensione)? Uno snob newyorkese che critica solo apparentemente il suo entourage come Ellis? E invece, no, niente di tutto questo. Le pagine scorrono e la storia comincia a tratteggiarsi, semplice ma intensa, estremamente "vera", e se un paragone deve essere fatto, sono più le commedie amare di Neil Simon a tornare alla mente. L'ambientazione è quella dell'America borghese, i personaggi appartengono a una famiglia normale del Midwest con problemi, nevrosi, equilibri difficili e parole non dette, ma anche con la tranquilla quotidianità che tutti conosciamo bene. I genitori, Enid e Alfred Lambert, rappresentano una coppia d'età che deve fare i conti con la salute incerta di lui, affetto dal morbo di Parkinson (il cui pensiero, disturbato dalla malattia, viene descritto magistralmente in alcuni passaggi del romanzo), e la volontà illusoria di lei di riprodurre ancora una volta una condizione familiare idilliaca (esistita solo nella sue fantasie) che veda tutti riuniti in occasione del Natale. I tre figli, molto diversi tra loro, sono tre esempi di vite possibili: Gary, dirigente di banca, è l'uomo integrato, che ha costruito una solida piattaforma economica ma non un altrettanto valido rapporto di coppia; Chip, il secondogenito, ha perso il suo lavoro in università per un "comportamento sessuale scorretto", ma è riuscito a mascherare questo fallimento con un nuovo impegno di scrittore-giornalista che inorgoglisce la madre; Denise è un ottimo chef, realizzata professionalmente, ma nel privato ha rapporti bisessuali che per la famiglia Lambert sono di certo moralmente discutibili. Franzen ha scelto di fissare lo sguardo su ciascuno di questi personaggi in capitoli differenti. Ne emerge un affresco particolarmente preciso della personalità di ognuno, per poi approdare al capitolo finale Un ultimo Natale, dove il romanzo riprende tutte le singole storie, riunendole e mescolandole di nuovo, come carte da gioco.
L'utopia della felicità si scioglie nella constatazione che la vita non si può "correggere", malgrado tutti gli sforzi. "Ho messo a fuoco le cose che mi procuravano ansia per poi guardare sempre più da vicino al loro riflesso sociale. Ho fatto dei problemi della mia vita lo specchio di una crisi generale" ha dichiarato Franzen in una recente intervista, ed è forse questa la ragione per cui un romanzo che poteva essere l'ennesima descrizione di un mondo già conosciuto si è rivelato qualcosa di davvero nuovo.

LE CORREZIONI
Jonathan Franzen
Einaudi Super ET
pagg.599
€12,50

14.10.09

MARTEDì 27 OTTOBRE BAR SARTEA (VI)- ORE 18:30


TANATOPARTY di Laura Liberale, Ed. Meridiano Zero
€10,00 - Pag. 128 -
ISBN 978-88-8237-202-6

Quando anche la morte diventa spettacolo
scrivere è uno strapparsi a morsi la carne viva
fino al cuore inesorabile delle cose.


Il tentacolare business del marketing ha raggiunto anche l’industria della morte. I più moderni ritrovati del settore funerario fanno bella mostra di sé all’inaugurazione di un’avanguardistica fiera, ostentati da provocanti hostess in latex nero.
L’apice dell’evento sarà la scandalosa poetessa Lucilla Pezzi, che negli anni ha fatto del proprio corpo uno strumento dell’arte più estrema, e l’ha destinato a diventare, dopo la morte, l’acme della sua carriera. Sotto luci martellanti e psichedeliche, si affolla, per l’ultima volta in attesa, il pubblico che l’ha seguita nelle sue performance di carne pulsante e poesia, quando calpestava nuda sul palco il nome borghese della sua famiglia, davanti agli occhi attoniti della sorella minore.
Laura Liberale si muove con eleganza tra obitori, necrofili e cadaveri, raccontando delle storie sotteranee che si intrecciano in una danza quasi orgiastica.
Fiabesca, lirica e crudele, questa nerissima rivisitazione dell’Alice di Carroll fa cadere il lettore in un buco freddo e magnetico, ammaliandolo con una prosa talmente intrisa di grottesca seduzione che in Tanatoparty la morte appare irriducibilmente bella.



BARDO THODOL - Il Libro tibetano dei morti - cornice di tutte le pagine del romanzo

Negli ultimi mesi la casa editrice Anima ha pubblicato, con un commento a cura di Mario Pincherle, il cosiddetto “Libro Tibetano dei Morti”. Il Bardo Thodol – questo il titolo originario – è uno dei tre grandi classici “funerari” di tutti i tempi, insieme al Papiro Egizio dei Morti e alla Divina Commedia di Dante Alighieri. “Bar-do” è l’espressione tibetana che indica la dimensione del passaggio tra due stati: la morte per i tibetani non è una condizione di stasi, ma una profonda sconvolgente trasformazione. L’ asceta si esercita già in vita a cogliere l’attimo che sta “tra” vita e aldilà; così come si esercita a cogliere il momento magico in cui la mente passa dalla veglia al sonno ovvero dal sogno del mattino – carico di premonizioni – al risveglio. Apprendere le fasi che succedono alla estinzione della esistenza terrena, imprimerle nella propria memoria di immagini per il tibetano vale come promessa di “liberazione”.

Il Bardo Thodol fu composto in sanscrito dal grande maestro Padma Sambhava, nell’VIII o nel IX secolo, per i buddhisti indiani e tibetani, ma fu da questi occultato e venne riportato alla luce solo nel XIV secolo dallo «scopritore di tesori» spirituali Karma Lingpa. Tra i primi a commentare in Italia questo sconcertante manuale di viaggio fu, negli anni Trenta, l’orientalista Giuseppe Tucci. Da allora in poi, e soprattutto negli ultimi anni, si sono succedute a ritmo frenetico riedizioni e commenti sempre nuovi.



9.10.09

NOBEL PER LA LETTERATURA



PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2009

VINCITORE

INTERNATIONAL IMPAC DUBLIN LITERARY AWARD
TRADOTTO IN 15 LINGUE


IL SECONDO LIBRO PIU' VENDUTO AL FESTIVALETTERATURA 2009 DI MANTOVA DOPO QUELLO DI LUIS SEPULVEDA



Ho scritto questo libro in ricordo dei miei amici rumeni uccisi sotto il regime di Ceausescu.


In una Romania degli anni Ottanta, quasi sospesa nel tempo, quattro giovani si ritrovano uniti dal suicidio di una ragazza di nome Lola. Da quel dolore e dalla consapevolezza di vivere in un Paese sottomesso alla dittatura, scaturisce un comune anelito di libertà che si nutre di letture e pensieri proibiti. Ben presto però i quattro devono fare i conti con l'onnipresenza del terrore. Agli interrogatori sistematici della polizia segreta, ai pedinamenti e agli atteggiamenti intimidatori segue la perdita del lavoro e, quand'anche si riesca a espatriare, ecco che le minacce proseguono e la morte ritorna sotto forma di misteriosi suicidi. In tutta questa oscurità, l'amicizia e l'amore sopravvivono.
Grazie a uno stile evocativo e immaginifico, Herta Müller - che come la protagonista del romanzo appartiene a una minoranza di lingua tedesca della Romania - riesce a trovare e far scaturire la poesia persino dal degrado materiale e spirituale di un'intera nazione.

Un libro singolare e meraviglioso
DIE ZEIT

"Scrivendo, non dimenticare la data e metti sempre un capello nella lettera, disse Edgar. Se dentro non c'è, vuol dire che la lettera è stata aperta. Singoli capelli, pensai tra me, sui treni, attraverso il paese. Un capello scuro di Edgar, uno chiaro, mio. Uno rosso di Kurt e Georg. Entrambi venivano soprannominati dagli studenti ragazzi d'oro. Per l'interrogatorio una frase con forbicine per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase raffreddata. Dopo il titolo sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola".

UN ESTRATTO DAL LIBRO:

Georg disse: Avevo brutti voti a scuola. Mio padre disse:
Tempo fa si cuciva qualcosa per il direttore, preferibilmente
un paio di pantaloni. Il giorno seguente mia madre comprò
della stoffa grigia, un nastro per il bordo, un tessuto di lino
per le tasche e bottoni anche per la patta, visto che in negozio
c’erano solo cerniere rosse. Mio padre andò a scuola e chiamò
il direttore per prendere le misure. Aspettava già da tempo
quest’offerta, ci raggiunse subito.
Il direttore si piazzò accanto alla macchina da cucire. Mia
madre cominciò a misurare a partire dalle scarpe. Rilassate
bene le gambe, Signor Direttore, disse lei. Poi chiese: Quanto
lunghi, Un po’ più lunghi. Quanto larghi, Un po’ più stretti.
Volete dei risvolti, Signor Direttore. Dall’alto dei pantaloni
che lui indossava, chiese: E le tasche, Signor Direttore. All’altezza
della brachetta respirò profondamente e chiese: Da che
parte portate le chiavi della cantina, Signor Direttore. Lui disse:
Sempre sulla destra. E per la farmacia domestica, chiese
lei, volete dei bottoni o una cerniera. Cosa suggerite, chiese il
direttore. La cerniera è pratica, ma i bottoni danno più personalità,
disse mio padre. Il direttore disse: Bottoni.
DOPO il cinema andai dalla mia sarta. I suoi figli dormivano
già. Rimanemmo in cucina. Era la prima volta che andavo da
lei così tardi. Lei non si stupì. Mangiammo mele cotte al forno.
Lei fumò, ritraendo le guance come la regina degli scacchi
del nonno. Il mascalzone è ora in Canada, disse lei, ho incontrato
oggi sua sorella. Il marito della sarta era fuggito attraver-
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sando il Danubio, senza dirle una parola. Avevo raccontato
alla sarta della regina scura e di quella chiara e del barbiere
della compagnia del nonno, anche della nonna che pregava e
cantava. Anche delle piante più stupide del padre, dei dolori
alla schiena della madre.
Le tue nonne mi sembrano come le due regine degli scacchi
di tuo nonno, aveva detto lei. Quella che prega corrisponde
alla regina scura e quella che canta a quella chiara. Pregare
è sempre scuro.
Non la contraddissi, ma per me era il contrario.
LA NONNA che canta è quella scura. Lei sa che ognuno ha
una bestia del cuore. Lei sottrae il marito a un’altra donna.
Quest’uomo ama l’altra donna, non ama la nonna che canta.
Ma lei l’ottiene, perché lo vuole. Non lui, ma il suo campo. E
lo conserva. Lui non la ama, ma lei può dominarlo, nel
momento in cui gli dice: La bestia del cuore è un topo. Allora
era tutto vano, perché il campo, dopo la guerra, veniva
espropriato dallo Stato. Davanti a questo orrore, la nonna iniziò
a cantare.
LA SARTA non era consapevole di quanto poco sapesse sul
mio conto. Sembrava le bastasse che io fossi studentessa e non
portassi alcuna cintura.
Posai la chiave della casa estiva sul davanzale della finestra
della sarta e la dimenticai là. Pensai tra me, Una chiave non la
butta via nessuno.
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Edgar, Kurt e Georg consideravano inaffidabile la sarta. Io
dicevo: Siete diffidenti, perché le vostre madri sono sarte.
Dovetti promettere di non coinvolgere la sarta in nulla che ci
riguardasse. Edgar, Kurt e Georg non avrebbero accettato che
la chiave rimanesse sul davanzale della finestra. Come spesso
accadeva, quando erano diffidenti, avrebbero recitato la poesia:
Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola
così è infatti con gli amici dove il mondo è pieno di terrore
anche mia madre diceva è del tutto normale
non mettere in discussione gli amici
pensa a cose più serie.
Tornai allo studentato a piedi, a notte fonda. Lungo il sentiero
incontrai tre guardie, non volevano nulla da me. Erano occupati
con se stessi, mangiavano prugne verdi come di giorno.
Era così silenzioso in città, che li sentivo masticare. Avanzai
piano, in modo da non disturbarli mentre mangiavano. Avrei
preferito camminare in punta di piedi, ma se ne sarebbero
accorti. Camminando, diventai leggera come un’ombra, non
sarebbero mai riusciti ad afferrarmi. Le prugne verdi nelle
mani delle guardie erano nere come il cielo.
DUE settimane dopo andai di primo pomeriggio dalla sarta.
Lei disse subito: Hai dimenticato la tua chiave, di giorno l’ho
vista là sopra. Ho riflettuto tutto il giorno, era notte e non
potevi rientrare nello studentato.
Il metro era appeso intorno al collo della sarta. La chiave
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non è dello studentato, è della casa, dissi. E pensai tra me: Lei
porta il metro intorno al collo come una cintura.
Poi il tè bollì nella teiera. Disse: Vedo crescere i miei bambini
e vorrei che in futuro usassero le chiavi più spesso di te.
Versò lo zucchero accanto alla mia tazza. Puoi capirlo, chiese.
Annuii.
POICHÉ avevamo paura, Edgar, Kurt, Georg e io stavamo
insieme ogni giorno. Stavamo seduti al tavolo, ma la paura
rimaneva isolata in ogni testa, così come ce la portavamo dietro
quando c’incontravamo. Ridevamo molto, per nasconderla
gli uni agli altri. Perché la paura svicola. Quando si domina il
proprio volto, sguscia fuori nella voce. Se riesci a tenere in
pugno il volto e la voce come se fossero un pezzo inanimato,
sfugge persino dalle dita. Trapassa la pelle. Gira libera, la si
vede negli oggetti che stanno nelle vicinanze.
Vedevamo dove fosse la paura e di chi, perché ci conoscevamo
già da tempo. Spesso non ci potevamo sopportare, perché
eravamo dipendevamo l’uno dall’altro. Dovevamo offenderci.
Tu con la tua smemoratezza sveva. Tu con la tua fretta sveva
o con la tua mania di attendere. Con la tua fissazione sveva
di contare i soldi. Tu con la tua rozzezza. Tu col tuo singhiozzo
svevo o col tuo starnuto, coi tuoi calzini svevi o con le tue
camicie, dicevamo.
Tu, cappuccio di merda svevo, tu testa di cavolo sveva, tu
sacco di stracci svevo. Dovevamo ricavare la rabbia dalle parole
lunghe che ci dividevano. Le inventavamo come imprecazio-
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ni che segnavano la distanza dell’uno dall’altro. Il riso era
duro, bucavamo il dolore. Si faceva presto, perché ci conoscevamo
da dentro. Sapevamo esattamente cosa feriva l’altro. Ci
eccitava vederlo soffrire. Doveva crollare sotto l’amore brutale
e percepire quanto poco resistesse. Ogni ingiuria infilava la
successiva, finché la vittima taceva. E rimaneva così ancora per
un po’. Ancora per un po’ cadevano parole sul suo volto muto,
come cavallette su un campo distrutto.
Nella paura avevamo scrutato l’uno nell’altro, più profondamente
di quanto fosse lecito. In questa lunga confidenza
avevamo bisogno di un’inversione, che arrivò inaspettata.
L’odio poteva calpestare e annientare. In una maggiore vicinanza
poteva falciare l’amore reciproco, perché cresceva come
l’erba lunga. Le scuse ritirarono l’offesa in meno tempo di
quanto si trattenga il respiro.
Lo scontro cercato era sempre intenzionale, solo ciò che
provocava rimaneva un errore. Al termine della rabbia, veniva
dichiarato ogni volta l’amore reciproco, senza inventare alcuna
parola. Il nostro amore c’era sempre. Ma nello scontro
l’amore aveva degli artigli.
Una volta Edgar, quando mi diede la chiave per la casa estiva,
disse: Tu col tuo sorriso svevo. Avvertii gli artigli e non so
come allora la bocca non mi sia caduta dal volto. Guardando
indietro nel tempo, mi sentivo così abbandonata, che non mi
veniva in mente alcuna parola per ribattere. Forse la mia bocca
divenne un pisello maturo. Immaginavo le mie labbra così
secche e sottili, come non le avrei volute. Un sorriso svevo era
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come il padre che non mi potevo scegliere. Come la madre,
che non volevo avere.
Anche allora stavamo seduti al cinema, nell’ultima fila.
Anche allora c’era sullo schermo il capannone di una fabbrica.
Un’operaia tendeva fili di lana su una macchina per
maglieria. Un’altra operaia andò da lei con una mela rossa e
stette a guardarla. L’operaia lisciò i fili sulla macchina e disse:
Credo d’essermi innamorata. Tolse la mela di mano all’altra e
vi diede un morso.
Durante questo film Kurt appoggiò la sua mano sul mio
braccio. Anche allora raccontò un sogno. In questo sogno
c’erano degli uomini da un parrucchiere. Sulla parete in alto
era appesa una lavagna, era un cruciverba. Tutti gli uomini
indicavano con degli appendiabiti gli spazi ancora vuoti e pronunciavano
delle lettere. Il parrucchiere stava sulla scala e
registrava le lettere. Kurt si sedette davanti allo specchio. Gli
uomini dissero: Finché non viene risolto, non ci sarà alcuna
pettinatura. Noi eravamo là da prima. Quando Kurt si alzò e
se ne andò, il parrucchiere gli gridò dietro: Domani si porti il
suo coltello da casa.
Perché sogno questo coltello, mi chiese Kurt in un orecchio,
benché sapesse il perché. Edgar, Georg e Kurt non avevano
più rasoi. Erano spariti dalle loro valigie chiuse.
ERO stata troppo a lungo al fiume con Edgar, Kurt e Georg.
Un’altra volta a spasso, dicevano, come se la passeggiata lungo
il fiume fosse stata superflua. Potevamo ancora cammina-
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re lentamente o rapidamente, andare di soppiatto, o correre a
perdifiato. Andare a spasso, l’avevamo dimenticato.
LA MADRE vuole raccogliere le ultime prugne dal giardino.
Ma un piolo è malfermo. Il nonno va a comprare dei chiodi.
La madre aspetta sotto l’albero. Indossa il grembiule con le
tasche più grandi. Diventa buio.
Quando il nonno sistema sul tavolo le figure degli schacchi,
estraendole dalle tasche del vestito, la nonna che canta dice:
Le prugne aspettano e tu vai a giocare a scacchi dal barbiere.
Il nonno dice: Il barbiere non era a casa, questo mi ha portato
fuori nel campo. Domattina presto vado ad acquistare
chiodi, oggi ero girovago.
CAMMINANDO, Kurt girava le scarpe verso l’interno, gettò
un bastone in acqua e disse:
Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola
così è infatti con gli amici dove il mondo è pieno di terrore
anche mia madre diceva è del tutto normale
non mettere in discussione gli amici
pensa a cose più serie.
Edgar, Kurt e Georg recitavano continuamente questa
poesia. Nella bodega, nel parco incolto, sul tram o al cinema.
Anche lungo la strada per il barbiere.
Edgar, Kurt e Georg andavano spesso insieme dal barbiere.
Quando entravano dalla porta, il barbiere diceva: Bene, uno
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alla volta, prego, due rossi e uno nero. Kurt e Georg venivano
rasati sempre prima di Edgar.
La poesia stava in uno dei libri della casa estiva. Anch’io
sapevo recitare la poesia a memoria. Ma solo mentalmente, in
modo da regolarmi, quando dovevo essere nel quadrilatero
con le ragazze. Davanti a Edgar, Kurt e Georg mi vergognavo
a recitare la poesia.
La provai una volta nel parco incolto e dopo il secondo verso
non sapevo più andare avanti. Edgar lo balbettò fino alla
fine e io presi dalla terra umida un verme, scostai il bavero
dalla nuca di Edgar e lasciai cadere il verme freddo e rosso
nella sua camicia.
In città c’era sempre un pezzetto di nuvola, o un cielo vuoto.
E le lettere di mia, tua o sua madre, che non avevano nulla
da dire. La poesia nascondeva la sua fredda risata. Questa
si addiceva alla voce di Edgar, Kurt e Georg. Era facile da recitare.
Ma conservare quotidianamente questa fredda risata era
pesante. Forse per questo la poesia doveva essere recitata tanto
spesso.
Non fidarti della falsa amicizia, mi ammonivano Edgar,
Kurt e Georg. Le ragazze del quadrilatero provano tutto,
dicevano loro, esattamente come i ragazzi nella stanza. Con
la domanda quando ritorni, intendono: Per quanto tempo
stai via.
IL CAPITANO Pjele, che si chiamava come il suo cane,
interrogò Edgar, Kurt e Georg a causa di questa poesia.
90
Il capitano Pjele aveva questa poesia su un foglio. Lui
appallottolò il foglio, il cane Pjele abbaiò. Kurt dovette aprire
la bocca e il direttore gliela riempì di carta. Kurt dovette mangiare
la poesia. Mangiando, dovette strozzarsi. Il cane Pjele gli
saltò addosso due volte. Gli strappò i pantaloni e gli graffiò le
gambe. Al terzo salto il cane Pjele avrebbe sicuramente morso,
pensò Kurt. Ma il capitano Pjele disse stancamente e con
calma: Pjele, è abbastanza. Il capitano Pjele si lamentò dei
suoi dolori ai reni e disse: Con me sei fortunato.
Edgar dovette stare immobile per un’ora nell’angolo. Il
cane Pjele stava seduto davanti a lui e lo guardava. La sua lingua
penzolava fuori dalla bocca. Pensai tra me, gli pesto sul
muso, in modo che rimanga fermo, disse Edgar. Il cane captò
ciò che pensavo. Non appena nella mano di Edgar si muoveva
un solo dito, non appena respirava più profondamente con
la bocca, in modo che i piedi stessero tranquilli, il cane Pjele
ringhiava. Sarebbe balzato al minimo movimento, disse
Edgar. Non avrei resistito, non avrei saputo dominarmi. Si
sarebbe arrivati a una carneficina.
Prima che Edgar potesse andarsene, il capitano Pjele si
lamentò dei suoi dolori ai reni e il cane Pjele gli leccò le scarpe.
Il capitano Pjele disse: Con me sei fortunato.
Georg dovette stendersi sulla pancia e incrociare le braccia
dietro la schiena. Il cane Pjele annusò la sua tempia e la sua
nuca. Poi gli leccò le mani. Georg non sapeva quanto fosse
durato. Sul tavolo del capitano Pjele c’era un vaso di ciclamini,
disse Georg. Quando Georg entrò dalla porta, il ciclami-
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no aveva solo un bocciolo aperto. Quando poté andarsene, i
boccioli aperti erano due. Il capitano Pjele si lamentò dei suoi
dolori ai reni e disse: Con me sei fortunato.
Il capitano Pjele disse a Edgar, Kurt e Georg, la poesia incita
alla fuga. Dissero: È una vecchia canzone popolare. Il capitano
Pjele disse: Sarebbe stato meglio che l’avesse scritta uno
di voi. Sarebbe stato già grave, ma così lo è ancora di più.
Queste canzoni magari una volta erano canti popolari, allora
erano comunque altri tempi. Il regime borghese-benestante è
stato superato da tempo. Oggi il nostro popolo canta altre
canzoni.
Edgar, Kurt e io seguivamo gli alberi della riva e la conversazione.
Edgar aveva restituito la chiave della casa estiva
all’uomo che non dava mai nell’occhio. Noi c’eravamo spartiti
i libri, le foto e i quaderni.
Da ogni bocca il respiro s’insinuava lentamente nell’aria
fredda. Davanti al nostro volto passò una schiera di animali
volanti. Dissi a Georg: Guarda, la tua bestia del cuore se ne va.
Georg sollevò il mio mento col pollice: Tu con la tua bestia
del cuore sveva, rise. Le sue gocce di saliva mi schizzarono in
faccia. Abbassai lo sguardo e vidi il dito di Georg sotto il mio
mento. Le articolazioni delle sue dita erano bianche e il suo
dito era blu, a causa del freddo. Asciugai le gocce di saliva sulla
guancia. Lola, sputando, aveva chiamato grasso di scimmia lo
sputo nel nerofumo. Per aiutarmi, dissi: Sei di legno.
Le nostre bestie del cuore volarono come topi. Si scrollarono
di dosso il pelo e sparirono nel nulla. Quando parlava-
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mo a lungo, uno dopo l’altro, rimanevano più a lungo nell’aria.
Scrivendo, non dimenticare la data e metti sempre un
capello nella lettera, disse Edgar. Se dentro non c’è, vuol dire
che la lettera è stata aperta.
Singoli capelli, pensai tra me, sui treni, attraverso il Paese.
Un capello scuro di Edgar, uno chiaro, mio. Uno rosso di
Kurt e Georg. Entrambi venivano soprannominati dagli studenti
ragazzi d’oro. Per l’interrogatorio una frase con forbicine
per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con
scarpe, per il pedinamento una frase raffreddata. Dopo il titolo
sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte
solo una virgola.
Gli alberi lungo la riva cascavano nell’acqua. Erano salici
capitozzati e salici fragili.
Quando ero bambino, i nomi delle piante conoscevano la
ragione per cui agivo. Questi alberi non sapevano perché
Edgar, Kurt, Georg e io camminassimo lungo il fiume. Tutto,
intorno a noi, sapeva di separazione, nessuno di noi pronunciava
la parola.
UNA BAMBINA ha paura di morire e mangia ancor più
prugne verdi e non sa perché. La bambina sta nel giardino e
ne cerca la ragione tra le piante. Anche le piante, gli steli e le
foglie non capiscono perché la bambina, mangiando, utilizzi
mani e bocca contro la propria vita. Solo i nomi delle piante
sanno il perché: trifoglio d'acqua, erba di lana, cardo da latte,

5.10.09

TORNA MASSIMO CARLOTTO


Torna l'Alligatore nel Nordest di oggi.
Nelle librerie "L'AMORE DEL BANDITO", un noir d'inchiesta pieno di ricatti, agguati e sfide.
2004. Dall’Istituto di medicina legale di Padova spariscono 44 chili di droga pesante. Criminalità organizzata da un lato e forze dell’ordine dall’altro si scatenano. L’Alligatore riceve pressioni per indagare e scoprire l’identità dei responsabili del furto. L’investigatore senza licenza non ci sta ma a certa gente non basta dire di no... 2006. Due anni più tardi scompare Sylvie, la donna di Beniamino Rossini, la danzatrice del ventre franco-algerina che lui aveva conosciuto anni prima in un night del Nordest. Il vecchio gangster non si dà pace e la cerca ovunque. Ben presto l’Alligatore, Beniamino Rossini e Max la Memoria si ritrovano braccati da un nemico misterioso che li ricatta e li costringe a entrare in un gioco mortale... 2009. La storia non è ancora finita. E l’Alligatore e i suoi amici sono ancora in pericolo e attendono la prossima mossa del loro temibile avversario. Una storia di malavita, un noir dove si intrecciano i destini di vecchi e nuovi gangster in un mondo dove le regole di un tempo non esistono più. Solo il passato torna sempre a chiedere il conto.

9.8.09

"LA NARICE DEL CONIGLIO"
di Paola Mastrocola

Barbara, forse, vuole trovare qualcuno che le somigli... E allora scatta un imprevedibile e irresistibile impulso...
Barbara Lope è una donna nel pieno della vita, ha un’attraente frangetta bionda, vestiti eleganti, un bel lavoro. Eppure ogni tanto sente come un peso, un fastidio acuto: a scuola era il compagno presuntuoso, al lavoro la collega arrivista, e poi le scarpe con il tacco a spillo, le serate mondane, i discorsi ufficiali, le cerimonie, i matrimoni... E quando le situazioni si fanno insopportabili, quando le sembra che le persone e i luoghi abbiano perso il senso di quello che sono realmente (se mai l’hanno posseduto), in Barbara scatta qualcosa, un piccolo movimento, un gesto minimo, di insofferenza...
Sfrontato? Scherzoso? Provocatorio? Non si può dire. Di certo si tratta di un impulso irresistibile, e Barbara non può trattenerlo. È il suo modo di reagire alle assurdità, alle distorsioni. Forse il desiderio di trovare qualcuno che le somigli. Insomma fa quel gesto, e d’improvviso ciò che appariva così serio e importante perde consistenza, diventa aria, si dissolve.
Guanda, pagine 80, euro 10

6.8.09

ÉDOUARD GLISSANT: scrittore

Ancora poco conosciuto nel nostro paese, Édouard Glissant merita senza dubbio una maggiore attenzione da parte del pubblico e dell'editoria italiani. La sua densissima opera narrativa, poetica e filosofica invita il lettore a compiere un viaggio insolito, che disorienta e che nello stesso tempo indica nuove forme di orientamento, di conoscenza e un nuovo modo di stare al mondo. Uno dei momenti più intensi del recente festival Azioni Inclementi, tenutosi a Schio presso la Fabbrica Alta, è stato senz'altro il suo breve ma incisivo intervento. Grazie anche alla collaborazione di Marie-José Hoyet, docente di letteratura africana e caraibica all'Università dell'Aquila, abbiamo rivolto alcune domande a Glissant.
L'espressione Tutto-mondo è fondamentale per capire la sua opera. Può riassumerci il suo significato?
Il Tutto-mondo è il mondo che noi impariamo insieme a conoscere e a vivere senza che si dimentichi una sola delle sue parti. Nessun popolo, nessun paese, nessun individuo deve essere dimenticato. Non è un mondo ideale o universale. È un mondo in cui tutte le differenze tra i paesi e i popoli sono messe insieme in modo che si possa trovare una nuova maniera di frequentare la realtà.
In molti suoi saggi e romanzi compare la parola "creolizzazione". Questo termine però per lei non ha solo un valore linguistico…
Il mondo si creolizza perché raggiunge il sentimento della sua diversità. Questa essenzialmente è la creolizzazione. Perché ho usato questo termine? Perché le lingue creole sono costituite da elementi lessicali e sintattici venuti da tutte le parti e assolutamente estranei gli uni agli altri. Allo stesso modo le culture del mondo, assolutamente estranee le une alle altre, si incontrano, si oppongono, si combattono, si armonizzano e danno risultati imprevedibili così come le lingue creole erano imprevedibili. Tutto ciò fa sì che non si possano definire regole di condotta per nessuno. Siamo tutti solitari in questa situazione. Non abbiamo regole superiori, abbiamo regole che traiamo da noi stessi.
La creolizzazione, quindi, ridisegna il nostro concetto di relazione…
Quando si parlava di relazione si intendeva la relazione tra simili. Io sono come te, quindi possiamo stare insieme. Oggi invece la relazione è il gesto del differente. È perché siamo differenti che possiamo stare insieme. Il razzismo è molto forte perché molta gente non accetta che si possa cambiare a contatto con l'altro. La nuova condizione del mondo è invece accettare la differenza dell'altro. La relazione è nello stesso tempo l'accordo con l'altro e la libertà per me di essere quello che voglio. Nella creolizzazione sono capace di cambiare a contatto dell'altro senza perdermi, senza snaturarmi. Posso accettare la differenza dell'altro se l'identità non viene più concepita come radice unica, che tutto uccide, ma come rizoma, come radice che si incontra e si intreccia con le altre radici.
Nei suoi romanzi i personaggi vanno errando da una parte all'altra del mondo. Per quale ragione l'erranza è così presente nei suoi testi?
Nella letteratura tradizionale dell'occidente il problema centrale è l'approfondimento dell'interiorità e della psicologia dei personaggi. Esiste però anche una letteratura del sud che non approfondisce questo aspetto e che lega la sua sorte alla sorte del paesaggio. Oggi si pensa che se tu uccidi il paesaggio uccidi l'uomo. Vi è una nuova concezione della relazione tra l'umanità e il paesaggio. Non puoi mostrare questo punto se nella tua immaginazione non passi da un paesaggio all'altro. Questa è l'erranza. L'erranza non è perdersi ma è creare un rapporto tra una piccola baia delle Antille e una baia dell'Italia. Questa erranza non è turismo, essa ci insegna a frequentare il paesaggio. Per questo il paesaggio in letteratura oggi non è più uno sfondo ma è un personaggio. Non è il punto dove si svolge l'azione, è l'azione stessa.
"Il quarto secolo" è considerato da molti uno dei più bei libri mai scritti sul tema della schiavitù. Come è nato questo romanzo?
Quando ero giovane ho trascorso lunghi periodi in una piantagione, un'eredità economica del sistema di schiavitù. Mio padre era una sorta di intermediario tra il proprietario e i lavoratori. Durante le vacanze ascoltavo ogni giorno, alle sette della sera, con la notte tropicale sopra le spalle, alla luce di una torcia, i lavoratori che raccontavano storie dei tempi antichi. Tutto quello che faccio in letteratura viene da qui, da quella maniera di raccontare, di dire senza dire. Anche l'opacità viene da qui.
Per quanto riguarda quest'ultimo concetto, lei ha rivendicato più volte il diritto all'opacità. Per quale ragione?
Ci sono due risposte a questa domanda. La prima ha a che fare con Faulkner. Egli apparteneva alla classe sociale dei padroni del sud degli Stati Uniti ed era solidale con il sistema di piantagione. Tuttavia ha pensato una cosa incredibile ovvero che la dannazione dei bianchi era stata la creazione della schiavitù. Però non poteva dirlo perché faceva parte di quella classe. Ha così inventato una scrittura nuova che consiste nel dire senza dire pur tuttavia dicendo. È quella che io chiamo una scrittura differita e che utilizzo ampiamente nei miei romanzi. Questa è una maniera di introdurre l'opacità come via verso la verità. La verità non si dice direttamente, si dice attraverso una scrittura differita. La seconda risposta è che tutta l'attività dell'occidente è stata quella di dire, quando conquistava il mondo, noi portiamo la civiltà, noi portiamo la luce, ma non era vero. Comprendere significa prendere con sé. Non ho la pretesa di dirti come tu devi essere in riferimento al mio sistema di luce. Io reclamo il diritto all'opacità per tutti. Perché tu puoi essere incomprensibile per me però ciò non toglie che io posso mettermi in relazione con te.

31.7.09

CHI ERA L'AUTORE DA INDOVINARE


Joël Egloff (1970) è uno scrittore e sceneggiatore francese. È considerato dalla critica francese come uno dei migliori scrittori della nuova generazione. È stato premiato in patria e all'estero, ricevendo premi prestigiosi come il Prix du Livre Inter 2005 ed il Prix du Roman des Libraires E. Leclerc. Oltre a Edmond Ganglion & Figlio (Prix Alain-Fournier) ha pubblicato Cosa ci faccio seduto qui per terra (2004) di cui avete l'incipit nel post seguente, Lo Stordimento (2005) e Il signor qualcun altro (2008). E' davvero una lettura piacevole, scorrevole e non prevedibile. da consigliare sotto l'ombrellone o quando la realtà quotidiana supera la fantasia. A disposizione dei soci dello Spritz Letterario c'è "Cosa ci faccio seduto qui per terrra".

27.7.09

AUTORE DA INDOVINARE

Pronti a scoprire chi è l'autore da indovinare?
Mancano ancora pochi giorni per chiudere le scommesse.
Vi svelo il titolo di un suo libro: Cosa ci faccio seduto qui per terra- Ed. Instar libri - €12,00
Vi dice qualcosa?
Non è italiano, è molto fuori dal comune, come trame dei suoi libri.
Insomma, manca poco e non si vincono soldi, al massimo un suggerimento per una nuova buona lettura, che non è poco!

INCIPIT del titolo citato prima:

Cosa ci faccio seduto qui per terra sull'orlo di questo buco e come ci sono finito posso spiegarlo, è facile, posso anche raccontare tutto dall'inizio, ed è quello che farò.
Ma perchè sia andata così, perchè un simile disastro, questa è un'altra storia, e bisogna rinunciare a capirci qualcosa. Non si è mai vista la luce uscire dalle crepe.

7.7.09

NORWEGIAN WOOD

Uno dei più clamorosi successi letterari giapponesi di tutti i tempi è anche il libro più intimo, introspettivo di Murakami, che qui si stacca dalle atmosfere oniriche e surreali che lo hanno reso famoso, per esplorare il mondo in ombra dei sentimenti e della solitudine. Norwegian Wood è anche un grande romanzo sull'adolescenza, sul conflitto tra il desiderio di essere integrati nel mondo degli "altri" per entrare vittoriosi nella vita adulta e il bisogno irrinunciabile di essere se stessi, costi quel costi. Come il giovane Holden, Toru è continuamente assalito dal dubbio di aver sbagliato o poter sbagliare nelle sue scelte di vita e di amore, ma è anche guidato da un ostinato e personale senso della morale e da un'istintiva avversione per tutto ciò che sa di finto e costruito. Diviso tra due ragazze, Naoko e Midori, che lo attirano entrambe con forza irresistibile, Toru non può fare altro che decidere. O aspettare che la vita (e la morte) decidano per lui.

"Norwegian wood-Tokio blues"
H. Murakami

Ed. EINAUDI Super ET
€11,00

3.7.09

STABAT MATER VINCITORE DELLO "STREGA"2009

Romanzo di ambientazione/ispirazione storica, essendo calato nella Venezia di Antonio Vivaldi durante la prima metà del XVIII secolo e avente come protagonista un'allieva del cosiddetto "Prete rosso", Stabat Mater è però in primo luogo un'opera narrativa intimista dal profondo respiro poetico. Tutta incentrata su un ininterrotto monologo dell'io narrante femminile, essa ha come (quasi) unico sfondo il celeberrimo Ospedale della Pietà: l'orfanotrofio dove a lungo operò come compositore e insegnante di violino l'autore delle Quattro stagioni.
La sedicenne Cecilia è una delle innumerevoli ragazze che studiano musica e suonano nell'orchestra dell'"Ospitale". Tuttavia, ciò che la accomuna alle altre orfane è solo il fatto di essere stata pure lei abbandonata in fasce; mentre quello che la contraddistingue è una sensibilità introspettiva acutissima, nonché una non comune maestria violinistica. Però Cecilia ha un segreto: nottetempo, al margine di vecchi spartiti musicali, la giovane si dedica a una sorta di epistolario/diario. Scrive cioè lunghe lettere alla madre che non ha mai conosciuto, pur senza inviargliene una. Né saprebbe peraltro dove, nulla conoscendo intorno alla genitrice. Tale attività epistolare rappresenta comunque l'unica valvola di sfogo di una vita da reclusa, abitando la protagonista un'istituzione all'insegna della clausura. Come monache vivono infatti le giovani musiciste, che neppure durante i concerti (effettuati nella chiesa annessa all'ospedale) possono mostrasi al pubblico, suonando su alti "poggioli" protetti da grate.
Ma le lettere non sono appena un'afona e reiterata richiesta d'affetto, cui in parallelo si contrappone un puntuale rancore/rifiuto verso la figura materna assente; esse ripercorrono anche i ricordi di una infanzia fatta di solitudine e isolamento, rotto giusto dall'onere/svago di suonare assieme. E sarà proprio la musica che permetterà a Cecilia di maturare e di emanciparsi dalla condizione di subalternità/asservimento in cui sempre è vissuta. Grazie anche al rapporto conflittuale con un nuovo compositore in grado di creare partiture genialmente inquietanti, ossia "don Antonio", che sospingerà la violinista a sperimentare emozioni/situazioni mai provate, sino all'audace scelta di abbandonare l'orfanotrofio una volta per tutte. La prosa di Scarpa in Stabat Mater, assai lirica e modulata in brevi paragrafi (che alludono a strofe) ricchi di metafore e immagini di intensa forza evocativa e contraddistinti da una pregnanza espressiva oltremodo felice, non pare volta a tessere una mera trama orizzontale (di fatto quasi inesistente), ma sembra piuttosto mirare con insistenza a una verticalità profonda del sentire, tutta tesa com'è a uno scavo nell'anima della protagonista. Questa indagine fa dapprima affiorare materiale fantasmatico (come i sogni o le visioni allucinatorie; vedi quella, splendida, della morte in figura di donna con i capelli fatti di serpenti); ma se all'inizio svela solo una sofferenza sorda e abissale, sempre narrata però con toni estremamente pacati/misurati, si fa mano a mano più incline alle considerazioni riflessive, anche in forma squisitamente aforistica, o provocatorie, quali emergono dagli interrogativi della protagonista ("Perché le donne non compongono musica?", "Che cosa succederebbe, se il mondo venisse invaso dai suoni che accadono dentro l'animo delle donne?"). Sino a un'analisi sempre più attenta e lucida della realtà e del mondo a lei coevo, che Cecilia si deciderà infine ad abitare.
"STABAT MATER"
Ed. Einaudi

1.7.09

LA ZOLFA --------------------------------------


A S. Pinerlo, paesino della provincia italiana, tutto gravita attorno alla Zolfa, un'ex fabbrica di fiammiferi adibita a residence.
Con l'arrivo del nuovo custode, arriva anche la notizia che lì, presto, sorgerà un centro commerciale. Sarà organizzata una rivolta dai tratti epici.
Libro ricco di personaggi bizzarri, intrighi e mentatlità di paese. Fantasiosa metafora, calzante, del mondo di oggi. Scrittura giovane.

"La Zolfa"
Heman Zed
Ed. Il Maestrale
€15,00

L'AMORE CONTRO -------------------------------

Un romanzo amaro, di illusioni quotidiane, amori difficili e devianze sessuali. Una cruda realtà ambientata nel Nordest, con intrighi e vendette degni di un thriller. Ben scritto, molto scorrevole e soprattutto vero.

*INCIPIT:
Meno settantasette

Non era mai successo prima. D'accordo, dovevo prevederlo: la saracinesca della pompa era arrugginita, la valvola del depressore mi aveva già fatto qualche scherzo, la vasca di depurazione era satura più del pensabile. Ma tutto questo non sarebbe comunque bastato per una simile catastrofe. E' stata piuttosto la successione, l'intesa perfetta tra le cose a determinare il risultato. La loro intelligenza ieri mattina mi ha colpito.
"L'amore contro"
Mauro Covacich
Ed. Einaudi ET

€11,50

29.6.09

MANDAMI A DIRE --------------------------------


Selezionate e introdotte da Claudio Magris, quattordici storie, istantanee epifanie del quotidiano, nelle quali si mescolano sapientemente realismo sanguigno, pietas, umorismo e slanci visionari. Sulla scia di Svevo, Saba e Scipio Slapater, Roveredo sviluppa l'antiletterarietà propria della narrativa triestina in cinque racconti dove l'esperienza vissuta infrange le regole del galateo narrativo. Pino Roveredo è nato nel 1954 a Trieste da una famiglia di artigiani. Dopo varie esperienze di vita disordinata, ha lavorato per anni come operaio in fabbrica. Scrittore e giornalista, fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate.
CONSIGLIATO PER CHI VUOLE DISTRARSI DAL QUOTIDIANO ED HA POCO TEMPO, PICCOLE PERLE DI SCRITTURA ECCELLENTE.
"Mandami a dire"
Pino Roveredo
Ed. Bompiani
€9,00