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9.8.09

"LA NARICE DEL CONIGLIO"
di Paola Mastrocola

Barbara, forse, vuole trovare qualcuno che le somigli... E allora scatta un imprevedibile e irresistibile impulso...
Barbara Lope è una donna nel pieno della vita, ha un’attraente frangetta bionda, vestiti eleganti, un bel lavoro. Eppure ogni tanto sente come un peso, un fastidio acuto: a scuola era il compagno presuntuoso, al lavoro la collega arrivista, e poi le scarpe con il tacco a spillo, le serate mondane, i discorsi ufficiali, le cerimonie, i matrimoni... E quando le situazioni si fanno insopportabili, quando le sembra che le persone e i luoghi abbiano perso il senso di quello che sono realmente (se mai l’hanno posseduto), in Barbara scatta qualcosa, un piccolo movimento, un gesto minimo, di insofferenza...
Sfrontato? Scherzoso? Provocatorio? Non si può dire. Di certo si tratta di un impulso irresistibile, e Barbara non può trattenerlo. È il suo modo di reagire alle assurdità, alle distorsioni. Forse il desiderio di trovare qualcuno che le somigli. Insomma fa quel gesto, e d’improvviso ciò che appariva così serio e importante perde consistenza, diventa aria, si dissolve.
Guanda, pagine 80, euro 10

6.8.09

ÉDOUARD GLISSANT: scrittore

Ancora poco conosciuto nel nostro paese, Édouard Glissant merita senza dubbio una maggiore attenzione da parte del pubblico e dell'editoria italiani. La sua densissima opera narrativa, poetica e filosofica invita il lettore a compiere un viaggio insolito, che disorienta e che nello stesso tempo indica nuove forme di orientamento, di conoscenza e un nuovo modo di stare al mondo. Uno dei momenti più intensi del recente festival Azioni Inclementi, tenutosi a Schio presso la Fabbrica Alta, è stato senz'altro il suo breve ma incisivo intervento. Grazie anche alla collaborazione di Marie-José Hoyet, docente di letteratura africana e caraibica all'Università dell'Aquila, abbiamo rivolto alcune domande a Glissant.
L'espressione Tutto-mondo è fondamentale per capire la sua opera. Può riassumerci il suo significato?
Il Tutto-mondo è il mondo che noi impariamo insieme a conoscere e a vivere senza che si dimentichi una sola delle sue parti. Nessun popolo, nessun paese, nessun individuo deve essere dimenticato. Non è un mondo ideale o universale. È un mondo in cui tutte le differenze tra i paesi e i popoli sono messe insieme in modo che si possa trovare una nuova maniera di frequentare la realtà.
In molti suoi saggi e romanzi compare la parola "creolizzazione". Questo termine però per lei non ha solo un valore linguistico…
Il mondo si creolizza perché raggiunge il sentimento della sua diversità. Questa essenzialmente è la creolizzazione. Perché ho usato questo termine? Perché le lingue creole sono costituite da elementi lessicali e sintattici venuti da tutte le parti e assolutamente estranei gli uni agli altri. Allo stesso modo le culture del mondo, assolutamente estranee le une alle altre, si incontrano, si oppongono, si combattono, si armonizzano e danno risultati imprevedibili così come le lingue creole erano imprevedibili. Tutto ciò fa sì che non si possano definire regole di condotta per nessuno. Siamo tutti solitari in questa situazione. Non abbiamo regole superiori, abbiamo regole che traiamo da noi stessi.
La creolizzazione, quindi, ridisegna il nostro concetto di relazione…
Quando si parlava di relazione si intendeva la relazione tra simili. Io sono come te, quindi possiamo stare insieme. Oggi invece la relazione è il gesto del differente. È perché siamo differenti che possiamo stare insieme. Il razzismo è molto forte perché molta gente non accetta che si possa cambiare a contatto con l'altro. La nuova condizione del mondo è invece accettare la differenza dell'altro. La relazione è nello stesso tempo l'accordo con l'altro e la libertà per me di essere quello che voglio. Nella creolizzazione sono capace di cambiare a contatto dell'altro senza perdermi, senza snaturarmi. Posso accettare la differenza dell'altro se l'identità non viene più concepita come radice unica, che tutto uccide, ma come rizoma, come radice che si incontra e si intreccia con le altre radici.
Nei suoi romanzi i personaggi vanno errando da una parte all'altra del mondo. Per quale ragione l'erranza è così presente nei suoi testi?
Nella letteratura tradizionale dell'occidente il problema centrale è l'approfondimento dell'interiorità e della psicologia dei personaggi. Esiste però anche una letteratura del sud che non approfondisce questo aspetto e che lega la sua sorte alla sorte del paesaggio. Oggi si pensa che se tu uccidi il paesaggio uccidi l'uomo. Vi è una nuova concezione della relazione tra l'umanità e il paesaggio. Non puoi mostrare questo punto se nella tua immaginazione non passi da un paesaggio all'altro. Questa è l'erranza. L'erranza non è perdersi ma è creare un rapporto tra una piccola baia delle Antille e una baia dell'Italia. Questa erranza non è turismo, essa ci insegna a frequentare il paesaggio. Per questo il paesaggio in letteratura oggi non è più uno sfondo ma è un personaggio. Non è il punto dove si svolge l'azione, è l'azione stessa.
"Il quarto secolo" è considerato da molti uno dei più bei libri mai scritti sul tema della schiavitù. Come è nato questo romanzo?
Quando ero giovane ho trascorso lunghi periodi in una piantagione, un'eredità economica del sistema di schiavitù. Mio padre era una sorta di intermediario tra il proprietario e i lavoratori. Durante le vacanze ascoltavo ogni giorno, alle sette della sera, con la notte tropicale sopra le spalle, alla luce di una torcia, i lavoratori che raccontavano storie dei tempi antichi. Tutto quello che faccio in letteratura viene da qui, da quella maniera di raccontare, di dire senza dire. Anche l'opacità viene da qui.
Per quanto riguarda quest'ultimo concetto, lei ha rivendicato più volte il diritto all'opacità. Per quale ragione?
Ci sono due risposte a questa domanda. La prima ha a che fare con Faulkner. Egli apparteneva alla classe sociale dei padroni del sud degli Stati Uniti ed era solidale con il sistema di piantagione. Tuttavia ha pensato una cosa incredibile ovvero che la dannazione dei bianchi era stata la creazione della schiavitù. Però non poteva dirlo perché faceva parte di quella classe. Ha così inventato una scrittura nuova che consiste nel dire senza dire pur tuttavia dicendo. È quella che io chiamo una scrittura differita e che utilizzo ampiamente nei miei romanzi. Questa è una maniera di introdurre l'opacità come via verso la verità. La verità non si dice direttamente, si dice attraverso una scrittura differita. La seconda risposta è che tutta l'attività dell'occidente è stata quella di dire, quando conquistava il mondo, noi portiamo la civiltà, noi portiamo la luce, ma non era vero. Comprendere significa prendere con sé. Non ho la pretesa di dirti come tu devi essere in riferimento al mio sistema di luce. Io reclamo il diritto all'opacità per tutti. Perché tu puoi essere incomprensibile per me però ciò non toglie che io posso mettermi in relazione con te.