Patrizia Patella
Sironi Editore – pagg. 149
Questo romanzo d’esordio ha veramente una forza travolgente fin dalle prime righe, è come se l’autrice si lasciasse trafiggere dalle parole, mettendo a disposizione la propria carne viva per narrare il suo rapporto con la madre, guardandolo retrospettivamente dopo che la madre è morta. Ricorda l’infanzia e la vita con lei da adulta, non esita a mostrarci le mancanze di questa madre che l’ha trascurata per dedicarsi al lavoro, descrive il suo aspetto sciatto quando è in casa, l’incapacità di godersi la vita, la scarsa propensione a comunicare con questa figlia che si ritrova persino anoressica ad un certo punto della propria adolescenza.
Mai, in nessun momento, assistiamo alla classica beatificazione del morto. Semmai il contrario, a volte l’autrice sembra perfino troppo dura verso la madre. Ma il lutto è così dolente, la nostalgia così palpitante che si rimane attoniti. Le parole non dette sono quelle di tutti noi, quelle che ciascuno sente affiorare nella mente quando perde una persona così fondamentale. Perché l’odio, se così si può definire, non è altro che amore camuffato, l’amore dei perdenti. E una madre con cui non hai avuto un rapporto pieno è come se la perdessi due volte, quando muore.
Eppure qui niente è perduto, perché la scrittura- questa scrittura che mi ricorda Paula di Isabel Allende e anche La lettera al padre di Kafka- riscatta la vita e consegna questo amore a una memoria perenne.
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