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3.7.09

STABAT MATER VINCITORE DELLO "STREGA"2009

Romanzo di ambientazione/ispirazione storica, essendo calato nella Venezia di Antonio Vivaldi durante la prima metà del XVIII secolo e avente come protagonista un'allieva del cosiddetto "Prete rosso", Stabat Mater è però in primo luogo un'opera narrativa intimista dal profondo respiro poetico. Tutta incentrata su un ininterrotto monologo dell'io narrante femminile, essa ha come (quasi) unico sfondo il celeberrimo Ospedale della Pietà: l'orfanotrofio dove a lungo operò come compositore e insegnante di violino l'autore delle Quattro stagioni.
La sedicenne Cecilia è una delle innumerevoli ragazze che studiano musica e suonano nell'orchestra dell'"Ospitale". Tuttavia, ciò che la accomuna alle altre orfane è solo il fatto di essere stata pure lei abbandonata in fasce; mentre quello che la contraddistingue è una sensibilità introspettiva acutissima, nonché una non comune maestria violinistica. Però Cecilia ha un segreto: nottetempo, al margine di vecchi spartiti musicali, la giovane si dedica a una sorta di epistolario/diario. Scrive cioè lunghe lettere alla madre che non ha mai conosciuto, pur senza inviargliene una. Né saprebbe peraltro dove, nulla conoscendo intorno alla genitrice. Tale attività epistolare rappresenta comunque l'unica valvola di sfogo di una vita da reclusa, abitando la protagonista un'istituzione all'insegna della clausura. Come monache vivono infatti le giovani musiciste, che neppure durante i concerti (effettuati nella chiesa annessa all'ospedale) possono mostrasi al pubblico, suonando su alti "poggioli" protetti da grate.
Ma le lettere non sono appena un'afona e reiterata richiesta d'affetto, cui in parallelo si contrappone un puntuale rancore/rifiuto verso la figura materna assente; esse ripercorrono anche i ricordi di una infanzia fatta di solitudine e isolamento, rotto giusto dall'onere/svago di suonare assieme. E sarà proprio la musica che permetterà a Cecilia di maturare e di emanciparsi dalla condizione di subalternità/asservimento in cui sempre è vissuta. Grazie anche al rapporto conflittuale con un nuovo compositore in grado di creare partiture genialmente inquietanti, ossia "don Antonio", che sospingerà la violinista a sperimentare emozioni/situazioni mai provate, sino all'audace scelta di abbandonare l'orfanotrofio una volta per tutte. La prosa di Scarpa in Stabat Mater, assai lirica e modulata in brevi paragrafi (che alludono a strofe) ricchi di metafore e immagini di intensa forza evocativa e contraddistinti da una pregnanza espressiva oltremodo felice, non pare volta a tessere una mera trama orizzontale (di fatto quasi inesistente), ma sembra piuttosto mirare con insistenza a una verticalità profonda del sentire, tutta tesa com'è a uno scavo nell'anima della protagonista. Questa indagine fa dapprima affiorare materiale fantasmatico (come i sogni o le visioni allucinatorie; vedi quella, splendida, della morte in figura di donna con i capelli fatti di serpenti); ma se all'inizio svela solo una sofferenza sorda e abissale, sempre narrata però con toni estremamente pacati/misurati, si fa mano a mano più incline alle considerazioni riflessive, anche in forma squisitamente aforistica, o provocatorie, quali emergono dagli interrogativi della protagonista ("Perché le donne non compongono musica?", "Che cosa succederebbe, se il mondo venisse invaso dai suoni che accadono dentro l'animo delle donne?"). Sino a un'analisi sempre più attenta e lucida della realtà e del mondo a lei coevo, che Cecilia si deciderà infine ad abitare.
"STABAT MATER"
Ed. Einaudi

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non riesco a finirlo, di una tristezza fredda ed eccessiva. Non è coinvolgente, pur essendo scritto in prima persona, lo si legge in terza.
Non lo consiglio.
Marianna

Anonimo ha detto...

Questo è un libro che dimostra quanto sia meglio seguire il proprio istinto, quando si comprano i libri. E non comprare necessariamente i vincitori di premi come lo Strega.
Infatti, l’ho comprato perché incuriosita dal premio, perché i quarti di copertina lo rendevano invitante: una ragazza di 16 anni che suona il violino in chiesa, che vive in un orfanotrofio perché abbandonata dalla madre, che scrive lettere a questa madre, dove esprime la propria visione del mondo ai tempi di Vivaldi, a Venezia.
E poi si promette, sempre nel quarto di copertina, una svolta a questo grigiore con l’arrivo di Vivaldi in persona, nuovo insegnante di violino, con la ribellione della protagonista e una svolta di insubordinazione agli schemi.
Ebbene: tutto ciò può anche esserci nel libro, ma l’atmosfera generale, lo stile narrativo, la lentezza di bradipo del narrare rendono veramente ardua l’impresa di portare avanti la lettura. E’ come masticare qualcosa che si appiccica ai denti e che non sai come mandar giù. Si potrebbe sputare, cioè interrompere. Ma non l’ho fatto. Speravo veramente in una svolta improvvisa, un’accelerazione, un cambio di ritmo che mi desse una scossa. Niente. Mortifero fino alla fine.
Paola C