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5.7.10

PAOLA C... parla dell'ultimo di V. Trevisan

-TRISTISSIMI GIARDINI-
Vitaliano Trevisan
Ed. Laterza, collana Contromano
€10,00
Trevisan colpisce ancora…E’ appena uscito questo saggio-diario del nostro scrittore vicentino che odia i vicentini, ma naturalmente non riesce a staccarsi dal proprio territorio. E meno male per noi vicentini, perché c’è davvero bisogno di una voce forte, schietta, implacabile, che gridi almeno alcune delle scomode verità che ogni giorno ci capita di osservare.

Prima di tutto il territorio: una periferia diffusa- azzeccatissima definizione. Non c’è ormai più separazione tra una città e l’altra, le periferie si sono espanse fino a compenetrarsi. Sono periferie brutte, dove spesso si vedono costruzioni che insultano la bellezza del territorio naturale, delle colline a vigneto, dei centri storici antichi dove ancora si conserva un’architettura semplice di grande bellezza.

Poi il ritmo della vita di questo territorio, scandito dai secondi: qui lavoriamo con i secondi! Dice una voce riportata dall’autore. Le merci, gli uomini circolano, come in un formicaio laboriosamente impazzito.

Poi le abitazioni, le villette di periferia, dai giardini omologati: prato inglese, acero giapponese, ulivo deportato..laddove un tempo c’erano gli orti. Ma oggi nessuno ha più tempo per coltivarsi i pomodori, nemmeno quelle mogli degli imprenditori che, avendo delegato le incombenze materiali a cameriere e giardinieri, sono troppo indaffarate ad andare in palestra, dall’estetista, dal parrucchiere, per non parlare dello shopping.

Gli immigrati: da un lato i clandestini, di cui l’economia ha bisogno perché così sono controllabili, ricattabili e sfruttabili al costo iù basso. Dall’altro quelli che si sono integrati, che si dicono molto soddisfatti di abitare in queste zone, anche a Treviso, patria del sindaco sceriffo della lega. Anzi proprio loro a volte cambiano addiritura città perché “too much marocchino”!

C’è qualcosa però che Trevisan ama di questi luoghi: il dialetto, lingua materna che viene parlata ovunque e da tutte le classi sociali. Ma non si unisce al coro politico di quanti vogliono valorizzare la lingua e la cultura veneta “possibilmente ai ferri con 2 fette di polenta”.

Il proprio dialetto è piuttosto il modo più intimo di sentirsi a casa.

Paola C

1 commento:

Anonimo ha detto...

Certo che dal titolo non invoglia a portarlo in spiaggia...